In un tempo antico, quando ancora le parole suonavano cupe con il suono che esce dalle grotto, in un luogo che era fermo come la pietra, gli esseri umani non sapevano scrivere…
Lo spettacolo è immaginato come una sorta di “Bestiario”, una raccolta di favole che i bambini pescano a sorte, e che hanno per protagonisti gli animali: galli, ricci, volpi, formiche, topi, talpe,
asini e lucciole.
All’interno di un baule ci sono tutti gli oggetti e i costumi per trasformarsi in animali, due attrici interpreteranno le storie accompagnate da due musicisti. Siamo partiti dai gesti ricorrenti della gente, che in modo naturale si trasformano in suoni e in parole, creando una continuità organica dalla carne che si fa verbo, o come è stata definita, “la lingua della confidenza originaria”.
Per secoli le favole, che prima di essere scritte erano racconta- te e trasmettevano un universo di significati e simboli legati alle vicende locali. Nel passato si è creata una profonda frattura, tra il passato e il futuro, tra la cultura contadina e il progresso. Il dialetto stesso era considerato una vergogna, fino ad essere rifiutato del tutto e così si è perso sia parte di quel patrimonio, sia la musicalità tutta locale, quella incredibile capacità di saper produrre “musica” che assomigli alla terra, alle origini.
Abbiamo quindi deciso di iniziare un percorso legato al dialetto e alla sua valorizzazione, cominciando con il recupero della favole che i nonni raccontavano ai nipoti, alternando l’italiano al dialetto, la lingua della scuola a quella del sentimento, provando a restituirgli quella dimensione “poetica” andata perduta.
I testi di riferimento per la ricerca delle favole sono “Fiabe materane” di Franco Palumbo e “Quante storie” di Giuseppe Leo Sabino.
Lo spettacolo è stato immaginato per essere realizzato in spazi aperti, cortili, aie, piazzette