Il surplace – sul posto, è una tattica utilizzata nelle gare ciclistiche che consiste nel rimanere in perfetto equilibrio, senza andare né avanti né indietro, aspettando il momento giusto per scattare. È una fase della gara in cui si consumano moltissime energie rimanendo fermi.
Abbiamo scelto questa metafora per raccontare la condizione di coloro i quali appartengono alla nostra generazione, la generazione che vive progettando continuamente per una possibilità di vivere migliore, ma che ha la sensazione di rimanere immobile, in una inquietudine, in un fremere nel petto per il liquido futuro che lascia sperare e allo stesso tempo si rende sfuggente.
Ad un prologo iniziale si susseguono sette allegorie: la Giovinetta, il Guru, il Giudizio, la Burocrate, la Contaminazione, il Guerriero, l’Appesa; figure che raccolgono in sé gli umori, i timori, l’entusiasmo, la testardaggine, i vuoti, le mediazioni, il coraggio, la fatica, la disfatta, l’ostinazione, la sospensione, lo scorrere del tempo, lo smarrimento di un esercito di disperati, disperati che continuano ad opporre alla ferocia la poesia.
- Scritto e diretto da Andrea Santantonio
- con Nadia Casamassima
- Per un pubblico adulto
- Durata: 50 minuti
note di regia
La propria giornata trascorsa a preparare, stabilire, progettare, il vuoto di fronte a cui ci si trova alle volte, il modo in cui nascono le idee, crescono, diventano grandi.
L’entusiasmo all’eccesso, il dover essere in un sistema figo, le parole d’ordine per far parte dell’universo degli entusiasti.
Dover convincere del valore dei propri progetti, valutarne l’utilità.
Trascorrere ore negli uffici, incagliarsi nella burocrazia, perdere tempo.
Sentire di essere dentro un meccanismo malsano, in cui devi necessariamente diventare altro da quello che sei, trasformarti per aderire ad un modello riconoscibile.
Lottare con una corazza di carta la propria battaglia contro chi non ha occhi e non ha orecchi.
Rinunciare, lasciare che le cose siano perché tanto non cambiano, ritrovare la pace con sé.
Dialogare con la morte, il demone, la parte più oscura di noi, e domandarsi cosa ci siamo a fare, quanto valiamo.– Andrea
“Solo chi vive questa condizione può comprendere appieno lo stato d’animo portato in scena, la vita interiore di tante giovani anime che ogni giorno combattono la loro battaglia contro il mondo e contro sé stessi.[…] Chi scrive, ultimamente, ha assistito a diversi lavori teatrali sullo stesso tema ma “Sürplàs” affronta la problematica in maniera davvero origina-le con una particolare attenzione al linguaggio, mettendo in un luce un aspetto, di cui altri lavori, meno poetici e più realistici, erano carenti, ovvero l’angoscia e la tensione continua in cui si trova a vivere l’essere umano precario che non è un corpo ma lo abita”.
Maria Vittoria Smaldone – Teatro.it